Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n.125/2022, in caso di violazione dell’obbligo di repechage, il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto alla tutela reintegratoria (Corte di Cassazione, Ordinanza 11 novembre 2022, n. 33341).

 

La Corte di appello territoriale accertava l’illegittimità del licenziamento irrogato ad un lavoratore a seguito della cessazione dell’appalto presso cui lo stesso aveva prestato la sua attività.
Secondo i giudici di merito, in particolare, pur provato il giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del recesso, non era stata offerta la prova della impossibilità di ricollocare il lavoratore in altre mansioni anche in ambito extraregionale; da tanto discendeva la condanna della società datrice di lavoro a corrispondere al dipendente un’indennità risarcitoria.

Il lavoratore ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, deducendo tra i motivi, l’inadeguatezza della tutela applicata, atteso che, a fronte dell’accertata violazione dell’obbligo di repechage, nel caso in parola avrebbe dovuto trovare applicazione la tutela reintegratoria.

Il ricorso è stato accolto dalla Corte di Cassazione la quale ha ribadito preliminarmente che, in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l’allegazione e la prova dell’impossibilità di “repechage” del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale. Il lavoratore ha l’onere di dimostrare il fatto costitutivo dell’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato così risolto, nonché di allegare l’illegittimo rifiuto del datore di continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del cd. “repechage”, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore.

Nel caso sottoposto ad esame la Corte territoriale aveva correttamente applicato tali principi, una volta verificato che gli elementi di valutazione dai quali la società avrebbe voluto far derivare l’impossibilità di adibire altrimenti il lavoratore non consentivano di escludere che, in presenza di numerosi appalti ancora in essere anche in ambito extra regionale, vi fossero posizioni utili alle quali assegnare il lavoratore.

Il Collegio ha, altresì, osservato che nelle more della definizione del giudizio era intervenuta la sentenza n. 125 del 19 maggio 2022 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, co. 7, secondo periodo, L. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge n. 92 del 2012, limitatamente alla parola «manifesta».
Anche nel giudizio di cassazione, qualora sopravvenga dopo la deliberazione della decisione della Corte di Cassazione e prima della pubblicazione della stessa, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma di legge e tale dichiarazione risulti potenzialmente condizionante rispetto al contenuto ed al tipo di decisione che la Corte stessa era chiamata a rendere, sussiste il dovere dei Giudici di legittimità di tenere conto di tale dichiarazione.

Ciò posto, nel caso di specie, il capo della sentenza impugnata che ha negato la tutela reintegratoria al lavoratore sulla base di un parametro normativo espunto dall’ordinamento è stato cassato per consentire al giudice del rinvio di riconoscere la tutela in concreto dovuta sulla base della nuova dizione dell’art. 18 co. 7, L. n. 300/1970.