In caso di condotta del datore di lavoro (demansionamento e inoperosità del lavoratore), anche se colposa e non dolosa, da cui siano causalmente derivati danni alla persona del lavoratore, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale la mancata liquidazione dell’indennizzo a carico dell’INAIL non costituisce condicio iuris per la proposizione della domanda risarcitoria nei confronti del datore di lavoro (Corte di Cassazione – Sentenza 15 novembre 2022, n. 33639).

IL CASO

I lavoratore ha convenuto in giudizio il datore di lavoro per comportamento asseritamente mobbizzante, concretizzato attraverso il demansionamento e l’emarginazione nel proprio ambiente di lavoro, richiedendo oltre al danno patrimoniale, il risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale e morale connesso allo sviluppo di una malattia psico-somatica.
Il Tribunale adito ha confermato il danno patrimoniale, escludendo la responsabilità del datore di lavoro per il danno danno biologico e per quello esistenziale e morale avuto riguardo, per il primo, alla pregiudiziale copertura pubblica apprestata dall’Inail, non evocato in giudizio, e, per il secondo, al connotato proprio di danno differenziale, non adeguatamente dedotto dalla parte che non aveva specificato in quale misura l’indennizzo assicurativo garantito dall’Istituto non era in grado di ristorare il pregiudizio alla sfera relazionale e soggettiva dell’assicurato.
La Corte d’appello, nel confermare la pronuncia, ha dedotto l’inesistenza di una macchinazione dolosa del datore di lavoro finalizzata all’emarginazione del lavoratore nel proprio ambiente di lavoro. In ordine alle voci di danno non patrimoniale, i giudici hanno inoltre aggiunto che la liquidazione dell’indennizzo a carico dell’Inail si configura come una vera e propria condicio iuris della domanda risarcitoria in difetto della quale il danneggiato non può agire nei confronti del responsabile civile. Nella fattispecie il lavoratore non aveva avanzato alcuna richiesta all’Istituto.
La decisione è stata impugnata dal lavoratore rivendicando la possibilità di un’azione diretta nei confronti del datore di lavoro per il ristoro del danno biologico, e comunque dei danni non patrimoniali, conseguenti una malattia psico-somatica determinata dal demansionamento, e comunque la legittimazione passiva del datore di lavoro per il risarcimento del danno cd. differenziale.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE

In tema di reciproca interferenza delle regole che presiedono il sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali con le azioni di risarcimento del danno promosse dal lavoratore colpito da eventi cagionati dall’espletamento dell’attività lavorativa la Corte di Cassazione ha affermato i seguenti principi.
L’assicurazione obbligatoria esonera il datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nell’ambito dei rischi coperti dall’assicurazione, con i suoi limiti oggettivi e soggettivi, per cui laddove la copertura assicurativa non interviene per mancanza di presupposti, l’esonero non opera; in tali casi, per il risarcimento dei danni convenzionalmente definiti “complementari”, vigono le regole generali del diritto comune previste in caso di inadempimento contrattuale.
L’esonero del datore di lavoro non opera anche allorquando venga accertato che i fatti da cui deriva l’infortunio o la malattia “costituiscano reato sotto il profilo dell’elemento soggettivo e oggettivo”, per cui la responsabilità permane “per la parte che eccede le indennità liquidate” dall’INAIL ed il risarcimento “è dovuto” dal datore di lavoro. Di qui la nozione di danno cd. “differenziale”, inteso come quella parte di risarcimento che eccede l’importo dell’indennizzo coperto dall’assicurazione obbligatoria e che resta a carico del datore di lavoro ove il fatto sia riconducibile ad un reato perseguibile d’ufficio; parallelamente la disciplina assicurativa, nella ricorrenza del medesimo presupposto, consente all’INAIL di agire in regresso nei confronti del datore di lavoro “per le somme pagate a titolo di indennità”.
E’ escluso “che le prestazioni eventualmente erogate dall’INAIL esauriscano di per sé e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato”. Con la conseguenza che il lavoratore potrà richiedere al datore di lavoro il risarcimento del danno cd. “differenziale”, allegando in fatto circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, ed il giudice, accertata in via incidentale autonoma l’illecito di rilievo penale, potrà liquidare la somma dovuta dal datore, detraendo dal complessivo valore monetario del danno civilistico, calcolato secondo i criteri comuni, quanto indennizzabile dall’INAIL, con una operazione di scomputo che deve essere effettuata ex officio ed anche se l’Istituto non abbia in concreto provveduto all’indennizzo.
Il giudice di merito, dopo aver calcolato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l’indennizzo erogato dall’Inail secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo, oltre al danno patrimoniale, ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale. Pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest’ultimo alla quota INAIL rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall’importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita INAIL destinata a ristorare il danno biologico permanente.
Inoltre, afferma la Corte di Cassazione, la disciplina assicurativa deve essere interpretata nel senso che l’accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno cd. differenziale, sia nel caso dell’azione di regresso proposta dall’Inail, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso.
In conclusione, la Suprema Corte dispone la cassazione della pronuncia laddove ritiene la liquidazione dell’indennizzo a carico dell’INAIL come condicio iuris per la proposizione della domanda risarcitoria nei confronti del datore di lavoro e, pur ritenendo l’illecito datoriale rappresentato dal demansionamento inflitto al lavoratore, non procede all’accertamento e alla liquidazione dei danni non patrimoniali sulla base dei principi di diritto innanzi richiamati.
Anche sotto il profilo dell’accertamento del danno differenziale la Corte di Cassazione ha statuito la cassazione della pronuncia affermando che è sufficiente che siano dedotte in fatto dal lavoratore circostanze che possano integrare gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, sottolineando che anche la violazione delle regole di cui all’art. 2087 c.c., norma di cautela avente carattere generale, è idonea a concretare la responsabilità penale. Spetta poi al giudice il compito di qualificare giuridicamente i fatti e sussumerli nell’alveo della fattispecie penalistica, accertando autonomamente ed in via incidentale la sussistenza del reato. Inoltre la richiesta del lavoratore di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, derivanti dall’inadempimento datoriale, è idonea a fondare un petitum rispetto al quale il giudice dovrà applicare il meccanismo legale previsto dall’art. 10 d.P.R. n. 1124/65, pur dove non sia specificata la superiorità del danno civilistico in confronto all’indennizzo, atteso che, rappresentando il differenziale normalmente un minus rispetto al danno integrale preteso, non può essere considerata incompleta al punto da essere rigettata una domanda in cui si richieda l’intero danno. Ciò in quanto in materia di azioni di risarcimento del danno, viene in rilievo non la qualificazione formale ma la natura e le caratteristiche del pregiudizio stesso. La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale è una domanda di carattere onnicomprensivo e l’unitarietà del diritto al risarcimento e la normale non frazionabilità del giudizio di liquidazione comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta.
In relazione alla condotta della datore di lavoro, la Corte Suprema ha evidenziato, altresì, che anche qualora sia esclusa una “macchinazione dolosa” nei confronti del lavoratore, ma sia acclarato che lo stesso versasse “in condizioni di sostanziale inoperosità”, con progressivo “svuotamento” delle mansioni affidate, il giudice deve accertare se da tale condotta del datore di lavoro, anche se colposa, siano causalmente derivati danni alla persona del lavoratore a contenuto non patrimoniale e provvedere alla liquidazione degli stessi.