Non è posto in capo al datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, una motivazione del provvedimento adottato che sia comparata con le altre assunte in fattispecie analoghe. Tuttavia, nel caso in cui, nel corso del giudizio non emergano le differenze che giustificano il diverso trattamento dei lavoratori, il giudice può correttamente valorizzare l’esistenza di soluzioni differenti per casi uguali, al fine di valutare la proporzionalità della sanzione adottata (Corte di Cassazione, Ordinanza 13 luglio 2022, n. 22115).

Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza di rigetto del ricorso proposto da un lavoratore avverso la decisione di secondo grado, con la quale la Corte di appello territoriale aveva giudicato legittimo il licenziamento a lui intimato dalla s.p.a. datrice di lavoro, a seguito di un incidente nel corso del quale l’autovettura di servizio guidata dallo stesso andava a sbattere contro la trave del ponte situato sulla strada percorsa.
La società datrice di lavoro aveva valutato la grave inadempienza del dipendente, causativa dell’incidente, oltre che la mancata compilazione del disco orario obbligatorio e del cronotachigrafo, attestativo della velocità del mezzo, e aveva, quindi, irrogato il licenziamento per giusta causa.
I giudici di appello, confermavano la legittimità del provvedimento adottato, riconosciuta la gravità della condotta fortemente lesiva del vincolo fiduciario, ritenendo proporzionata la sanzione espulsiva.

Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione avverso tale decisione, sostenendo, con riferimento alla proporzionalità del licenziamento, che la Corte distrettuale non avesse tenuto conto dell’eccezione sollevata con riguardo al diverso trattamento riservato ad altri dipendenti per inadempienze analoghe a quelle dello stesso.
Sul punto, il lavoratore ha richiamato i principi della giurisprudenza di legittimità, in virtù dei quali, seppur ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento sia irrilevante che un’analoga inadempienza commessa da altro dipendente sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro, quando risulti accertato che l’inadempimento del lavoratore sia tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, l’identità delle situazioni può privare il provvedimento espulsivo della sua base giustificativa.

La suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile, ponendo in evidenza che i menzionati principi statuiscono, altresì, che non si possa porre a carico del datore di lavoro l’onere di fornire, per ciascun licenziamento, una motivazione del provvedimento adottato che sia comparata con le altre assunte in fattispecie analoghe. Tuttavia, laddove nel corso del giudizio non emergano differenze giustificative del diverso trattamento dei lavoratori, correttamente può essere valorizzata dal giudice l’esistenza di soluzioni differenti per casi uguali al fine di valutare la proporzionalità della sanzione adottata.
Tale principio, letto nella sua interezza, evidenzia dunque come l’ eventuale disparità di trattamento debba emergere nel corso del giudizio attraverso elementi a tal riguardo significativi e tali da non richiedere, nell’ esplicitazione delle ragioni del licenziamento, una contestuale ricognizione da parte del datore di lavoro volta a giustificare la diversità di trattamenti adottati.
Da tanto consegue che la possibile valorizzazione da parte del giudice di situazioni similari, al fine di una valutazione di irragionevole disparità, deve fondarsi sulle allegazioni presenti nella causa, tali da consentire un’ indagine di fatto ed una possibile comparazione; all’uopo assume quindi valore essenziale il profilo allegatorio e probatorio.
Tanto premesso, la Corte di legittimità ha rigettato il ricorso, una volta rilevato, nel caso in argomento, la genericità e carenza di specificazione del motivo di censura, privo di quelle necessarie indicazioni che avrebbero dovuto essere allegate nel giudizio di merito.